è stato spesso discusso a causa dei suoi possibili effetti deleteri su circolazione e perfusione cerebrale. Questo in quanto i primi studi suggerivano che la ketamina potesse aumentare la pressione intracranica, diminuendo la pressione di perfusione cerebrale e quindi riducendo l’apporto di ossigeno alla corteccia cerebrale danneggiata. Tuttavia, alcuni recenti studi hanno confutato queste conclusioni, dimostrando che la ketamina dovrebbe essere il farmaco di prima scelta in questo tipo di pazienti all’induzione. Alla luce di ciò, è sicuro oppure no somministrare ketamina nel paziente traumatizzato cranico? Una recente revisione della letteratura ha cercato di dare una risposta a questo eterno dilemma.
La ketamina e il trauma cranico: le origini
Recenti studi hanno dimostrato che la ketamina dovrebbe essere il farmaco di prima scelta per pazienti con trauma cranico.
La ketamina è un antagonista non competitivo del recettore NDMA scoperto nel 1956 con promettenti proprietà anestetiche generali. Dopo nove anni e sino ai giorni nostri, la ketamina è entrata nelle sale operatorie come anestetico generale. Chimicamente, la ketamina è chiamata 2-(2-clorofelin)-2-(metilammino) cicloesanone e possiede due forme isomeriche: (S)-(+) e (R)-(-). Attualmente, la S-ketamina , il più potente dei due stereoisomeri, è la miscela racemica più disponibile, contenente entrambe le forme (S+) e (R+).
Oltre ad essere antagonista NMDA, la ketamina mostra anche sinergia con altri recettori come oppioidi , monoaminergici, colinergici, nicotinergici e muscarinici, conferendo un ampio pleiotropismo neuro-farmacologico.
Dopo il legame con il recettore NMDA, il principale effetto clinico è dissociativo senza dilatazione del letto vascolare, in modo che non venga indotta ipotensione o variazione della frequenza cardiaca. Questa combinazione clinica rende la ketamina potenzialmente attraente quando si verificano ipotensione e shock cardiogeno o quando mantenere un’elevata pressione di perfusione rappresenta una priorità assistenziale, come nei pazienti con trauma cranico .
Quest’ultima condizione clinica, però, è stata oggetto di ampio dibattito in letteratura per molti anni; infatti, negli anni ‘90, la ketamina è stata progressivamente abbandonata partendo appunto dal presupposto che il farmaco influenzasse negativamente la pressione intracranica . Inoltre, il suo utilizzo doveva essere attentamente valutato nei pazienti con trauma cranico in quanto in questo caso si possono verificare varie modificazioni nel tessuto cerebrale danneggiato fino al livello subcellulare.
Tuttavia, la massima cautela riguardo all’uso della ketamina nei pazienti con trauma cranico dovrebbe essere collegata al potenziale aumento della pressione intracranica attraverso la stimolazione simpatica, peggiorandone gli esiti. In questo senso è stato osservato che, se combinata con acido γ-aminobutirrico (GABA), la ketamina non aumenta la pressione intracranica .
Inoltre la depolarizzazione diffusa , ovvero una propagazione anomala dell’attività elettrica descritta dall’elettroencefalogramma (EEG) o dalla misurazione interna mediante apposti elettrodi, si associa ad un peggioramento degli esiti nei pazienti con trauma cranico in quanto avviene un’interruzione quasi completa del gradiente ionico transmembrana che prende origine da aree di ischemia acuta locale come espressione di tessuto che soffre di mancanza di energia.
Recentemente, però, alcuni importanti studi hanno dimostrato che dopo un trauma cranico può verificarsi un effetto curativo della ketamina , probabilmente correlato alla soppressione dell’insorgenza di depolarizzazione diffusa dopo un danno cerebrale.
Alla luce di ciò, alcuni autori hanno pubblicato recentemente una revisione narrativa della letteratura volta ad analizzare, dopo la somministrazione di ketamina, la mortalità dei pazienti con trauma cranico, l’impatto sulla pressione intracranica e sulla pressione di perfusione cerebrale, i valori di pressione sanguigna e frequenza cardiaca, il tasso di depolarizzazione e le funzioni neurologiche preservate.
Effetti della ketamina nel paziente con trauma cranico I principali risultati della revisione della letteratura e i principali effetti della ketamina nel paziente con trauma cranico sono qui di seguito riassunti.
Pressione intracranica (PIC) Nessuna PIC patologica Previene il riflesso della tosse Diminuzione dei valori della PIC in breve tempo e aumento dei valori per un lungo periodo senza evidenza di minaccia Diminuzione della PIC mediana di 7,8 mmHg nello studio sulla popolazione pediatrica Nessun evento avverso correlato a PIC elevata o aumento dei tassi di mortalità Pressione di perfusione cerebrale (PPC) Aumento della PPC di 3,9 mmHg senza effetti avversi Pressione arteriosa media (PAm) e frequenza cardiaca (FC) Nessuna variazione notevole della PAm e FC Aumento della Pam Aumento della FC di 20 battiti/min Elettroencefalogramma (EEG) Pattern di lampi gamma al dosaggio standard di ketamina richiesto per indurre l’incoscienza Riduce significativamente la depolarizzazione diffusa con un meccanismo dose-dipendente Aumenta la presenza di frequenze beta e di conseguenza, limita la comparsa di depolarizzazione diffusa Soppressione dei lampi con una relazione dose-dipendente Effetto inibitorio dose-dipendente della ketamina per l’incidenza di depolarizzazione diffusa Ventilazione Broncodilatazione Facilita la gestione delle vie aeree nei pazienti con trauma cranico Dosaggio della ketamina Non sono stati riportati effetti letali o effetti collaterali potenzialmente letali e, in tutti gli studi inclusi nella revisione, l’analisi del bolo di ketamina non è stata utilizzata in modo uniforme e il dosaggio era di 1-5 mg/kg, mentre il dosaggio della somministrazione endovenosa continua era di 0,3–200 mg/kg/h.
Quattro studi hanno indicato un dosaggio preciso di ketamina titolato al livello di sedazione desiderato secondo il punteggio di Ramsey o la scala di sedazione-agitazione di Riker. In questo senso, è raccomandato vivamente di mantenere inizialmente il punteggio RASS tra -3 e -4, che viene poi modificato in base agli obiettivi terapeutici.
Ketamina e pazienti pediatrici È stato identificato solo uno studio presente in letteratura per valutare la somministrazione di ketamina nei bambini . In questo studio, gli autori hanno riscontrato una diminuzione della PIC e un aumento della PPC subito dopo la somministrazione.
Tuttavia, come riportato in molti altri studi, non sono stati prodotti dati sulla ventilazione meccanica e sull’emogasanalisi. Inoltre, 2/3 dei pazienti sono stati trattati con una soluzione iperosmolare prima della somministrazione di ketamina, rendendo difficile stimare la crescita della ketamina e i suoi relativi effetti.
Sulla base dell’analisi della revisione della letteratura, allo stato attuale, non sono stati condotti studi prospettici o retrospettivi che coinvolgano bambini per studiare i risultati a lungo termine utilizzando la ketamina come agente anestetico e pertanto il suo utilizzo dovrebbe essere affrontato con cautela nei bambini a causa della quantità limitata di dati disponibili.
Tossicità della ketamina Indipendentemente dalle varie possibili e utili applicazioni terapeutiche della ketamina, le sue proprietà psicotrope sul sistema nervoso centrale, ben note in campo tossicologico forense, ne limitano l’uso clinico diffuso. Questo in quanto anche a dosi di 0,1 mg/kg i soggetti possono manifestare sintomi, comportamenti e deficit cognitivi simili a psicosi endogene.
Va inoltre ricordato che l’uso di ketamina induce uno stato noto come anestesia dissociativa nel quale l’individuo non è in grado di rispondere agli stimoli sensoriali. Questi effetti, caratterizzati dalla dissociazione con allucinazioni visive, uditive e somatosensoriali e dalla distorsione spazio-temporale, hanno reso la ketamina una popolare droga ricreativa.
D’altra parte, a dosi più elevate, questi effetti sono amplificati inducendo una condizione clinica simile alla schizofrenia. Sebbene questi effetti siano transitori e reversibili, l’uso a lungo termine può causare deterioramento cognitivo con grave atrofia cerebrale. Per questo motivo occorre prestare particolare attenzione visti gli analoghi effetti a lungo termine del trauma cranico, come sintomi depressivi ricorrenti, demenza e deterioramento cognitivo, che potrebbero influenzarsi reciprocamente negativamente, peggiorando la clinica complessiva dei soggetti colpiti.
Alla luce di questi effetti avversi la ketamina dovrebbe essere cautamente associata ad altri farmaci che alterano l’umore e la percezione, inclusi gli oppioidi e le benzodiazepine . Analogamente, poiché l’enzima del citocromo P450 è coinvolto nel metabolismo della ketamina, i farmaci che inibiscono il metabolismo del citocromo P450 dovrebbero essere evitati per il rischio di portare a tossicità sovraterapeutica della ketamina. Tuttavia, la morte per overdose è rara e di solito coinvolge altre sostanze.
Nessuno studio ha mostrato pericoli nell’uso di ketamina nel trauma cranico Come risultato delle sue caratteristiche farmacocinetiche e farmacodinamiche, comprese le proprietà di neuromodulazione, la ketamina sembra essere un farmaco sicuro e potrebbe essere usato da solo o in combinazione con altri sedativi in pazienti con trauma cranico da moderato a grave che richiedono ventilazione meccanica .
Dopo oltre 50 anni di ricerca, l’utilizzo della ketamina nei pazienti con trauma cerebrale acuto sembra ancora essere sottoutilizzato. Sono stati completati vari studi prospettici e retrospettivi, ma tutti mostrano una debolezza che non consente di formulare solide raccomandazioni. Tuttavia, nessuno studio ha mostrato alcun pericolo nell’uso della ketamina nel trauma cranico. Questo permette, quindi, di immaginare la possibilità di inserire questa terapia in procedure cliniche consolidate per il trattamento delle lesioni cerebrali.