L’etica e la clinica, due mondi separati?

Scritto il 18/05/2021
da Daniela Berardinelli

Quali sono le questioni etiche maggiormente percepite dai sanitari? Attraverso la somministrazione di un questionario sono stati indagati la dimensione etica e i potenziali conflitti morali del lavoro in sanità della Regione Friuli Venezia-Giulia. I dati di questo studio, pubblicati sulla rivista scientifica italiana Assistenza Infermieristica e Ricerca, si basano sulla raccolta di 2774 questionari, di cui gli infermieri rappresentano il 57% del campione, i medici l’11%, i fisioterapisti il 4%, e il 23% altri operatori (operatori sociosanitari, psicologi, ostetriche).

L’etica nella pratica clinica

I professionisti della salute incontrano spesso la morte durante il loro percorso di vita professionale

La quasi totalità dei partecipanti a questa indagine descrittiva ritiene che l’etica rappresenti una dimensione fondamentale del lavoro in sanità, soprattutto a garanzia del rispetto dei diritti del paziente.

La sofferenza morale degli operatori emerge, infatti, proprio quando i diritti dei pazienti non vengono rispettati o si verificano episodi di accanimento terapeutico. Diversi operatori hanno anche espresso come fonte di malessere una scarsa collaborazione all’interno dell’équipe, nello svolgimento del proprio lavoro quotidiano e la dimissione dei pazienti fragili, senza un valido sostegno sociale.

Il confronto in équipe

L’ambito più problematico è - e non rappresenta una novità - il confronto interprofessionale, quando questo viene a mancare all’interno dell’équipe le problematiche etiche nella gestione del paziente aumentano.

Morfina free

La somministrazione di farmaci morfinici non rappresenta un dilemma per i professionisti della salute, come nemmeno le questioni inerenti l’inizio vita, ovvero (ad es. diagnosi pre-natale).

Il contatto con la morte

Molto più problematiche sono, invece, le questioni inerenti il fine vita. I professionisti della salute incontrano spesso la morte durante il loro percorso di vita professionale e la quasi totalità degli intervistati si occupa dell’accompagnamento alla morte, ma solo la metà si sente adeguatamente preparato a rispondere alle esigenze del morente e dei suoi familiari.

Questa mancanza può essere imputata alla mancanza di una formazione adeguata in merito alle questioni bioetiche, in quanto meno della metà degli intervistati hanno affrontato queste tematiche durante il loro percorso di formazione, ritrovandosi a perfezionare la propria esperienza direttamente sul campo.

La maggiore difficoltà per i medici è rappresentata dall’assumere decisioni sui trattamenti da erogare, mentre gli infermieri avvertono maggiormente il peso del conforto dei familiari e del sostegno al morente.

Altre difficoltà vengono riscontrate anche nella garanzia di ottemperare una morte dignitosa. Le grosse criticità sono date dalla mancanza di tempo e spazio ivi dedicati e dalla non conoscenza delle volontà della persona assistita, soprattutto quando si tratta di pazienti stranieri, dei quali non si conoscono i valori culturali, i quali potrebbero essere chiarificati dalla presenza di un mediatore culturale.

La forza dell’équipe

Il peso di queste difficoltà emergenti dovrebbe essere suddiviso all’interno di tutta l’équipe di cura, sollevando sia i medici che gli infermieri dalle attività ritenute maggiormente difficili.

La richiesta di consulenza al comitato etico è ancora poco utilizzata e potrebbe essere un’occasione di crescita e confronto morale fra professionisti.

Prendersi cura di chi cura

La vita e la morte sono parti integranti della nostra vita, ma non essendo eventi passivi sono inevitabilmente assorbiti dai sanitari. Sostenere tutta l’équipe durante questi processi è quindi indispensabile.

La formazione in merito a queste materie così profonde e delicate non può né deontologicamente, né eticamente fondarsi su un numero limitato di ore ed esaurirsi nell’esperienza di vita ed empirica acquisita lungo le corsie.

Il confronto e la rielaborazione dei vissuti dei professionisti è fondamentale per poter riconoscere la propria vulnerabilità ed accettarla. Sia il dibattito culturale che la formazione in ambito bioetico dovrebbero essere implementati e diventare anch’essi pratiche di cura quotidiane, così come lo è l’assistenza nel fine vita al paziente e ai suoi familiari.