Cure tradizionali e amore per il prossimo, ecco l'Africa

Scritto il 31/05/2019
da Redazione

Nel mese di marzo 2019 ho intrapreso un viaggio in Benin, stato dell'Africa Occidentale, ci scrive Alberto Vettori, neo infermiere. Durante il mio soggiorno ho centrato la mia attenzione sia sulle varie differenze etnico-culturali e sulla realtà socio-sanitaria del paese, ma soprattutto ho approfondito il ruolo che occupa la religione Voodoo (o Vudù) all'interno della popolazione beninese. Questo progetto mi ha permesso di aprire la mente ma soprattutto il cuore nei confronti di un mondo che ha tanto bisogno di amore, in un periodo storico tanto delicato quanto aspro come quello in cui ci troviamo.

Benin, la mia esperienza tra religione Voodoo, fitoterapia e stregoni

Questa idea è nata durante l'ultimo anno di frequentazione del corso di studi di Infermieristica dell'Università di Firenze, quando sono venuto a conoscenza della possibilità di poter avviare un progetto di tesi di questo tipo.

Ospedale Saint-Jean de Dieu di Tanguieta, in Benin

Allora ho deciso di ampliare la mia ricerca per la tesi di laurea svolgendo, per circa venti giorni, un periodo di tirocinio nella sala operatoria dell'ospedale Saint-Jean de Dieu di Tanguieta, in Benin.

Durante il mio soggiorno ho centrato la mia attenzione sulle varie differenze etnico-culturali e sulla realtà socio-sanitaria del paese, ma soprattutto ho approfondito il ruolo che occupa la religione Voodoo (o Vudù) all'interno della popolazione beninese. Essa infatti è una delle religioni ufficiali dal 1996 e almeno l'11,6% degli abitanti si dichiarano credenti, mentre il 27% sono musulmani e oltre il 48,5% asseriscono di essere cristiani. 

Netta è, invero, la ripartizione tra il Nord del paese, in cui le tradizioni vengono avvertite in maniera molto più dirimente, e il Sud, laddove, essendo più diffuso l'inurbamento e l'occidentalizzazione, le tradizioni si dispongono al fenomeno della modernizzazione.

Un dato di fatto non disconoscibile è che il riferimento sanitario primario per la popolazione tanto rurale quanto urbana sia quello alla cura tradizionale, prima nella forma di auto-medicamento e, poi, di consultazione dei terapeuti afferenti al cosiddetto "Vodoun": accade spesso, perciò, che coloro i quali ascrivono la malattia ai malefici, di cui credono essere vittime, preferiscano non recarsi in ospedale, considerato che per la credenza culturale il male spirituale non potrà trovare una cura in quel contesto razionalizzato.

Quel medico tuttofare dell'ospedale da cui ho imparato tanto

Per capire più a fondo questo pensiero mi sono intrattenuto più volte a discutere con padre Fiorenzo, medico "tutto-fare" dell'ospedale, il quale mi ha riferito di trovarsi in Africa dal 1969. Esperto di fitoterapia, ha cominciato ad appassionarsi alla materia già dai primi anni, sebbene avesse la convinzione che la medicina tradizionale fosse per lo più deleteria; e lo è spesso, quando mal utilizzata. Visibilmente commosso mi ha raccontato un episodio molto interessante ma al tempo stesso inconsueto.

Da quel giorno padre Fiorenzo ha messo in causa i propri principi e afferma di aver ottenuto ottimi risultati, studiando a fondo gli effetti curativi delle piante e facendo seminari sparsi su tutto il territorio africano.

Dispensario utilizzato dallo "stregone" in Benin

Tuttora egli, infatti, utilizza venticinque delle circa trecento piante a lui conosciute per curare i suoi pazienti, poiché vuole avere le prove scientifiche e quindi la certezza degli effetti benefici di questi medicamenti.

Il più grande pericolo rimane, tuttavia, l'utilizzo incontrollato di questi rimedi indigeni da parte degli "stregoni", i quali, nella maggior parte dei casi, non riescono ad ottenere i risultati attesi per i motivi sopraindicati. 

Ho voluto riportare questa testimonianza diretta per comprendere a fondo quanto ancora la medicina occidentale possa apprendere ed utilizzare tecniche a noi sconosciute per migliorare alcuni quadri patologici.

La foto qui riportata è stata scattata da me in un villaggio adiacente a Tanguieta nel quale mi sono diretto per osservare direttamente come "opera" uno stregone. Per renderci conto con cosa abbiamo a che fare, qui possiamo osservare il suo "dispensario".

Mi ritengo soddisfatto ed entusiasta per aver avuto la possibilità di aver partecipato a questo progetto, che mi ha permesso di aprire la mente ma soprattutto il cuore nei confronti di un mondo che ha tanto bisogno di amore, in un periodo storico tanto delicato quanto aspro come quello in cui ci troviamo.