Comunicazione efficace per migliorare le relazioni e l’attività formativa
I canali formativi per migliorare la comunicazione in sanità sono, fondamentalmente, tre:
- Analizzare le basi teoriche della comunicazione umana per prendere consapevolezza sì degli aspetti fisiologici, ma soprattutto di quelli patologici che stanno alla base, oltre che degli errori e degli incidenti, anche dei fallimenti della formazione e dei processi di apprendimento
- Sperimentare tutti quegli elementi della buona e della cattiva comunicazione in modo da essere in grado di comprenderne e valutarne gli effetti, su sé stessi e su gli altri
- Utilizzare strumenti semplici e profondi, che sia possibile applicare in tempi brevi, quindi già durante la formazione in aula e, successivamente, sul lavoro, non ultimo; tra questi, l’Analisi Transazionale
Quindi, viene da sé che non tutti i bravi professionisti siano adatti a fare i formatori e, questa prima fase - quella dell’individuazione degli “eletti” - è probabilmente quella più difficile, sicuramente quella più ingrata.
Perché un ottimo professionista non sempre è anche un buon formatore?
Perché i contenuti e le competenze professionali sono fondamentali per poter insegnare agli adulti, ma non sono, probabilmente, l’aspetto più importante.
Il docente non è l’unico detentore del sapere, non deve necessariamente dimostrare tutto il suo bagaglio di abilità e conoscenze, che non solo potrebbero non aiutare a dargli credibilità ma, semmai, servirebbero ad aumentare la distanza tra il professionista esperto e il principiante.
Il buon formatore non comunica solo con la testa, ma, piuttosto, ci mette cuore e passione sfruttando la cosiddetta “intelligenza emotiva”.
L’intelligenza emotiva ci consente di affermare il nostro punto di vista nel pieno rispetto del nostro interlocutore; il formatore emotivamente intelligente non ha bisogno di aggredire, offendere o umiliare il discente che “non sa”, perché riesce a stabilire col discente una “relazione” favorendo il rapporto empatico e assertivo.
Al contrario il formatore che non sa essere empatico, che tiene sopite le emozioni per dare spazio alla sua razionalità sarà un formatore portato allo scontro e l’attività formativa rischia di diventare una disputa senza fine.
Esiste un metodo per imparare a comunicare col cuore? Certamente sì, anche se, evidentemente, viste le premesse, su questo influisce in maniera importante la componente caratteriale. Prima di tutto è necessario convincersi che comunicare col cuore è possibile e, quindi, bisogna volerlo fare: questo introduce il formatore in un circolo virtuoso che lo porta a comprendere che, oltre che possibile, comunicare col cuore è anche gratificante e sarà, ancora di più, stimolato a farlo.
L’interesse per gli altri è fondamentale
Il formatore si interessa ai discenti, a quello che pensano e i discenti si interesseranno a lui; tutti vogliono sentirsi apprezzati, coinvolti e stimati, in una parola, vogliono sentirsi importanti. Comprendere le aspettative dei discenti, le loro ansie aiuta a facilitare il loro cammino di apprendimento.
Il formatore può sbagliare, è un dato di fatto, ma non è una tragedia perché nessuno è infallibile. Il formatore che sbaglia e, in maniera sincera e onesta, ammette l’errore non perde la faccia ma, semmai, si avvicina, ancora di più, ai discenti.
Ascoltare, ascoltare e ascoltare ancora
Spesso si ha la convinzione che il formatore abbia il compito di parlare, raccontare, spiegare e ancora parlare, come si trattasse di un attore sul palcoscenico. I protagonisti delle attività formative sono i discenti e il formatore deve avere la capacità di ascoltare. Dall’ascolto viene la comprensione, la capacità di immedesimarsi negli altri e comprenderne il vissuto e, quindi, il proprio punto di vista.
Le emozioni sono una risorsa: imparare e riconoscerle e a gestirle è sempre una grande conquista e un’arma in più del formatore. È necessario essere onesti con i discenti, dire sempre quello che si pensa, con tatto e con diplomazia, ma senza nascondere niente.
È bene, dunque, utilizzare un linguaggio cortese, che chiarisca che ciò che stiamo esprimendo nei confronti del discente è frutto del nostro pensiero motivato e ponderato.
Non è il caso fare affermazioni assolute che non lascino possibilità di replica: dire “io penso che dovresti” ha un peso e un significato decisamente diverso dal dire “devi”.
L’attività formativa non è una gara e non è un duello, il formatore porta a casa il risultato se il discente raggiunge l’obiettivo.
- Articolo a cura di Gianfranco Gusai, Infermiere