mi viene da ridere, ma non lo faccio. Mi astengo pensando fra me e me: beata ignoranza. Penso alla ricchezza che i malati mi donano gratuitamente tutti i giorni. Penso a quanto sia tutto così pesante, ma mi hanno insegnato ad apprezzare la vita e a non rimandare nulla. Penso a ringraziare e godere di ogni attimo, proprio in onore di chi della propria vita è stato derubato e si trova da un giorno all'altro a fare i conti con un'esistenza che si è improvvisamente lacerata.
Penso alla ricchezza che i malati mi donano gratuitamente tutti i giorni
Donna con cancro
Entro in ospedale per montare notte come tutte le altre notti, col sonno già imminente nella testa ed esplicito sulla mia faccia ancora prima di mettere piede in reparto. Passiamo consegna e vengo messa al corrente del fatto che una paziente di 47 anni, entrata nel nostro reparto qualche giorno prima con una semplice diagnosi di cefalea , l'indomani sarebbe stata trasferita in oncologia con una diagnosi di tumore al polmone in fase avanzata più presenza di importanti lesioni metastatiche cerebrali.
Notizie che agli occhi di un qualsiasi comune mortale fanno venire i brividi, ma che in quel momento, in quegli ambienti lavorativi, se fai certi lavori, devi in qualche maniera saper farti scivolare addosso, o almeno, ci provi.
Mi soffermo un secondo sul planner con lo sguardo fisso sull'elenco dei pazienti, dove leggo il nome di quella signora con accanto la dicitura "47 anni". Quarantasette anni, penso. Poi ritorno in me e cerco di concentrarmi continuando ad ascoltare la collega che mi descrive i fatti del pomeriggio.
Prima di somministrare la terapia delle 23:30 inizio con la collega il giro delle stanze facendomi luce con la torcia del cellulare. Entro nella stanza n.3 e trovo la donna appena menzionata in lacrime nel letto, accovacciata tutta su se stessa .
In un primo momento vedendomi arrivare sembra cercare di assumere una posizione più composta nel letto, si asciuga le lacrime, come per nascondere inutilmente la sua tragica condizione di essere umano in un momento in cui piangere non può che essere la più plausibile delle reazioni possibili sulla faccia della terra.
Poi l'inizio di quella conversazione che penso mi ricorderò per sempre . Non sono solita raccontare queste cose, un po' perché, ripeto, non è una novità, ma la triste realtà con cui ogni infermiere, medico o sanitario che sia deve fronteggiare quotidianamente in divisa lavorativa.
Di punto in bianco mi sento catapultata al mio secondo tirocinio in università, oncologia 4 alle Molinette. Mi sento improvvisamente sola e indifesa , nelle mie sembianze di umana , come abbandonata dalla divisa che indosso. Convinta che mi faccia da corazza di fronte a queste situazioni, povera illusa penso di riuscire sempre a farmi scivolare addosso il peso di tutto il dolore e la sofferenza con cui ho a che fare insieme ai miei colleghi ogni giorno negli ambienti di lavoro.
Cerco in tutti i modi di mantenermi composta, di trattenere le lacrime, pensando nel mio cervello a come costruire ogni genere di frase sensata o intelligente da dire un quel momento, ma non ci riesco. E poi ti senti dire: tante volte il silenzio è la soluzione a tutto .
Balla stratosferica. No, non in quel momento. Quella ragazza aveva bisogno di sentirsi consolata , di ricevere parole di sicurezza che io, con la mia modesta esperienza lavorativa, a 22 anni, in quella circostanza non ero in grado di trovare.
La mia vita oggi si è sconvolta continuava a ripetermi. Mi raccontava di come non avrebbe mai saputo dirlo a sua madre, a sua sorella, che già stavano attraversando momenti difficili. Ma una frase mi è rimasta più impressa.
Sai qual è la cosa di cui ho davvero più paura? Di non avere più tempo. Ho paura di non avere più tempo
Ogni giorno lotto nell'autoconvinzione che questo lavoro, nonostante tutto, mi porti davvero a delle ricchezze . Ogni giorno sono costretta a masticare in reparto sofferenze che talvolta sembrano diventare pane quotidiano ed esco da lì come se nulla fosse e magari la sera mi trovo pure a ballare con le amiche dopo aver visto situazioni spesso sconvolgenti e assurde.
Ed è giusto che sia così, penso, perché la mia vita fuori da quella porta deve in qualche maniera andare avanti senza lasciarmi addosso tutto quel peso. Eppure a volte è difficile e sono proprio i pazienti, persone come te, che ti ricordano che forse non ne sei poi così tanto capace.
E quando mi sento dire che questo è un lavoro come tutti gli altri mi viene da ridere, ma non lo faccio. Mi astengo pensando fra me e me: beata ignoranza . Questa sorta di filippica non ha il fine di creare ipocondria nelle persone che quando si trovano una puntura sulla pelle pensano di avere la lebbra. Non ho scritto con lo scopo di mettere in guardia chi soffre di cefalea. E nemmeno a fine di vantarmi di ciò che faccio, perché non ne ho bisogno.
Scrivo perché a volte nella vita, per qualche cosa che malauguratamente sembra andarci male, ci sembra cadere tutto un mondo addosso e a volte siamo anche capaci di non vivere più come prima. Facciamo passare le giornate una dopo l'altra senza riempirle , come inerti, quando nella realtà siamo oggettivamente più fortunati di molti altri.
Ognuno di noi ha una resilienza e una capacità propria di affrontare le difficoltà del caso. Ma io dico: calibriamo sempre le cose che ci succedono, per quanto possibile. Quella donna davvero da un giorno all'altro non potrà più fare cose che per noi sono scontate. E non mi riferisco solo alla chemio e a tutto ciò che le terapie di quelle insidiose malattie comportano.
Arriverà il giorno in cui svegliandosi si renderà conto di non riuscire più a camminare, deglutire, parlare, riconoscere le persone più care attorno a sé. Alla fine di un lungo dialogo la signora mi ha poi confessato che l'indomani stesso, dopo le dimissioni, sarebbe stata dalla parrucchiera di fiducia a farsi i colpi di sole biondi che aveva già prenotato da giorni e che non aveva intenzione di disdire.
E la sera sarebbe uscita e si sarebbe presa una pizza con le amiche. Non so se parlerò, o cosa ci diremo. Ma voglio fare tutto quello che posso, finché posso . Questa mattina alle 6:30 sono uscita come al solito rintronata dall'ospedale pensando che a 22 anni forse a quest'ora avrei potuto essere a Gallipoli o ad Ibiza a finire una serata ballando fino all'alba senza pensieri e scegliendo di fare un altro percorso di studi.
E invece ero lì, a pensare a tutte queste cose. Penso alla ricchezza che i malati mi donano gratuitamente tutti i giorni . Penso a quanto sia tutto così pesante, ma mi hanno insegnato ad apprezzare la vita e a non rimandare nulla.
A ringraziare e godere di ogni attimo, proprio in onore di chi della propria vita è stato derubato e si trova da un giorno all'altro a fare i conti con un'esistenza che si è improvvisamente lacerata.
Anna Liffredo , Infermiera