Rapporto Gimbe 2025: 1 italiano su 10 rinuncia alle cure

Scritto il 09/10/2025
da Silvia Fabbri

L’8° Rapporto GIMBE fotografa un SSN in affanno strutturale. Dopo anni di pandemia e inflazione, il finanziamento pubblico non tiene il passo dei bisogni, cresce la spesa privata, si allargano i divari territoriali e il personale sanitario è allo stremo. Dietro i numeri, una domanda: riuscirà l’Italia a garantire cure pubbliche, eque e universali?

Il Fondo sanitario nazionale è insufficiente

Nino Cartabellotta, presidente fondazione Gimbe

Negli ultimi tre anni, il Fondo sanitario nazionale (FSN) è cresciuto nominalmente, da 125,4 miliardi nel 2023 a 136,5 nel 2025, ma il valore reale si è eroso sotto la spinta di inflazione e rincari energetici.

In rapporto al PIL, il finanziamento pubblico scende dal 6,3% del 2022 al 6,1% del 2025. Tradotto: meno risorse effettive per un sistema con bisogni crescenti.

Le proiezioni della manovra economica non lasciano margini di ottimismo. Entro il 2028, il rapporto FSN/PIL potrebbe calare al 5,8%, mentre i fabbisogni sanitari tendenziali indicano uno scarto fino a 13 miliardi di euro.

Il risultato? Regioni costrette a scegliere fra due strade impopolari: aumentare le tasse locali o tagliare servizi ai cittadini.

Livelli essenziali di assistenza: la frattura Nord-Sud

Nonostante l’entrata in vigore, dal 1° gennaio 2025, del Decreto Tariffe che rende finalmente esigibili le nuove prestazioni ambulatoriali e protesiche, l’aggiornamento dinamico dei LEA è ancora in stallo.

Il monitoraggio 2020–2023 del Nuovo Sistema di Garanzia mostra che solo 13 Regioni risultano adempienti nel 2023, con peggioramenti in otto territori. La geografia dell’assistenza resta diseguale: il Nord adempiente, il Sud in difficoltà cronica.

A peggiorare il quadro, la mobilità sanitaria: nel 2022 i cittadini hanno speso oltre 5 miliardi di euro per curarsi fuori regione, quasi un quarto dei quali in strutture private accreditate. È il segno di un SSN che non garantisce gli stessi diritti di salute da Milano a Palermo.

Una spesa costituzionalmente necessaria

Negli ultimi anni la giurisprudenza ha chiarito un principio fondamentale: i LEA sono spesa costituzionalmente necessaria. In altre parole, non possono essere compressi per esigenze di bilancio.

Una serie di sentenze della Corte costituzionale ha ribadito che la tutela della salute non è un diritto “finanziariamente condizionato”. Le Regioni e lo Stato devono garantire i LEA anche in presenza di vincoli economici, tagliando altre spese se necessario.

Questo orientamento ha un impatto concreto: spinge Governo e Regioni a riconsiderare le priorità di bilancio e a garantire prima i diritti essenziali, poi tutto il resto. Ma serve anche un sistema di monitoraggio trasparente e continuo, che oggi manca.


Il riconoscimento dei LEA come spesa prioritaria implica anche la tutela del personale necessario a garantirli. Ogni livello essenziale, infatti, ha un corrispettivo organizzativo: per assicurarlo servono organici e competenze. La carenza di infermieri mette a rischio non solo i servizi, ma la stessa applicazione del principio costituzionale.

PNRR e assistenza territoriale

La Missione 6 – Salute del Piano nazionale di ripresa e resilienza rappresenta la grande promessa di modernizzazione del Ssn. Tuttavia, al 30 giugno 2025, solo il 21% delle Case della Comunità risulta pienamente attivo, con appena 46 sedi dotate di équipe medica e infermieristica complete.

Gli Ospedali di Comunità “attivi” sono il 49,8%, ma in molti casi si tratta di strutture temporanee o ancora prive di personale stabile. La rete di cure intermedie è dunque incompleta, mentre le riforme sul territorio rischiano di restare un guscio vuoto.

Ritardi e asimmetrie

I ritardi non riguardano solo i cantieri. La digitalizzazione (Fascicolo sanitario elettronico, interoperabilità) avanza a macchia di leopardo, il programma antisismico accumula criticità tecniche e amministrative e mancano dati pubblici aggiornati su vari target intermedi.

Sanità privata e accreditata

Nel 2023 le strutture private accreditate rappresentano il 58% del totale censito in Italia. La spesa sanitaria destinata al convenzionato cresce in valore assoluto, ma la quota sul totale scende al 20,8%, minimo storico.

Parallelamente, la spesa diretta dei cittadini verso il privato puro, ovvero strutture non accreditate, è più che raddoppiata dal 2016 al 2023 (+137%). È il segnale di un mercato in espansione, alimentato dalle attese nel pubblico e dalle difficoltà del Ssn.

Una privatizzazione silenziosa

Questo doppio binario genera una nuova disuguaglianza: chi può permetterselo si cura in tempi rapidi nel privato; chi non può, resta in lista o rinuncia. La conseguenza è un progressivo indebolimento del principio costituzionale di universalità.


La crescita del privato modifica anche l’offerta di lavoro: molti infermieri migrano verso strutture private o cooperative, attratti da stipendi leggermente più alti o orari più flessibili. Tuttavia, questa transizione rischia di impoverire il sistema pubblico e frammentare la formazione continua.

Il futuro del Ssn

Il quadro tracciato dal Rapporto Gimbe non lascia spazio a illusioni: senza una svolta politica e culturale, il Ssn rischia di non reggere l’urto del futuro. La transizione demografica, la cronicità, la carenza di personale e le nuove tecnologie non si governano con logiche d’emergenza.

Serve un Patto nazionale per la salute che metta in sinergia istituzioni, professionisti e cittadini.
Serve riconoscere il valore strategico del capitale umano, non solo come costo ma come investimento.
E serve una visione integrata in cui la cura non sia solo prestazione, ma relazione, continuità, prossimità.