La medicina di genere si afferma oggi come una prospettiva imprescindibile per una cura che sia veramente personalizzata, equa ed efficace. Supera la semplice distinzione biologica tra uomini e donne per approfondire come le caratteristiche del sesso e del genere influenzino i processi di salute e malattia. Ignorare queste variabili non è solo una lacuna scientifica: è un errore clinico che rischia di compromettere l'efficacia terapeutica e la sicurezza del paziente. Il riconoscimento istituzionale della medicina di genere in Italia ha avuto una svolta con la Legge 3/2018 (Decreto Lorenzin), che ha introdotto il Piano per la sua diffusione nel SSN. L'Istituto Superiore di Sanità ha creato l'Osservatorio nazionale per la medicina di genere, attivo tra il 2021 e il 2024, che ha prodotto documenti tecnici, linee guida, formazione e strumenti operativi. Dal 2023, anche il Sistema Nazionale Linee Guida prevede l'obbligo di valutare l'impatto del sesso e del genere in ogni documento scientifico e clinico.
Sesso, genere e salute: due dimensioni interconnesse La medicina di genere si afferma oggi come una prospettiva imprescindibile per una cura che sia veramente personalizzata, equa ed efficace.
Il sesso biologico identifica l’insieme di caratteristiche genetiche (cromosomi XX o XY), ormonali (estrogeni, testosterone), anatomiche e fisiologiche proprie di un individuo.
Il genere, invece, rappresenta la costruzione sociale dei ruoli, delle aspettative e dei comportamenti che ogni cultura attribuisce a uomini, donne o persone non binarie.
Queste due dimensioni, pur essendo distinte, si influenzano reciprocamente nel determinare l’esperienza di salute e malattia.
Ad esempio, la maggiore reattività immunitaria delle donne , legata all’azione degli estrogeni e all’attività dei cromosomi X, fornisce loro una maggiore protezione da molte infezioni ma, al contempo, aumenta il rischio di sviluppare patologie autoimmuni.
Negli uomini, al contrario, la vulnerabilità cardiovascolare precoce è accentuata non solo da fattori biologici (minor protezione ormonale, differente composizione lipidica) ma anche da comportamenti di genere consolidati come il maggior consumo di tabacco, alcol e la minore partecipazione ai programmi di prevenzione e screening.
Queste differenze biologico-comportamentali non solo incidono sulla probabilità di ammalarsi, ma influenzano la manifestazione dei sintomi, il percorso diagnostico, la risposta ai trattamenti e la prognosi a lungo termine. È dunque evidente come sesso e genere debbano essere analizzati congiuntamente per fornire un quadro completo e accurato della salute di ogni individuo.
Ricerca clinica e preclinica: la necessità di superare i bias La ricerca clinica ha storicamente mostrato un significativo bias di genere, con una sottorappresentazione delle donne nei trial clinici, specialmente nelle fasi iniziali. Questa esclusione è stata influenzata da preoccupazioni legali e culturali, come evidenziato da un articolo su Nature, che riporta che meno del 30% dei partecipanti nei trial di fase iniziale sponsorizzati dall'industria sono donne. Le conseguenze di questa disparità sono evidenti: le donne possono ricevere trattamenti meno efficaci o sperimentare effetti collaterali più gravi.
Recentemente, ci sono stati sforzi per affrontare queste disuguaglianze. La FDA ha proposto aggiornamenti alle linee guida per chiarire la terminologia relativa al sesso e al genere nei trial clinici, promuovendo una maggiore inclusione delle donne . Inoltre, l'iniziativa "Gendered Innovations " ha sviluppato metodi pratici per integrare l'analisi di sesso e genere nella ricerca scientifica, migliorando la qualità e l’innovazione.
Tuttavia, persistono sfide significative. Le donne nere sono particolarmente sottorappresentate nei trial clinici, limitando la comprensione biologica e contribuendo alle disuguaglianze sanitarie. Inoltre, molte ricerche non analizzano i risultati separatamente per sesso, rendendo difficile identificare differenze specifiche.
Per superare questi bias, è fondamentale adottare strategie mirate, come la progettazione di studi che considerino le differenze di genere, l'implementazione di criteri di inclusione equi e l'analisi dei dati disaggregati per sesso. Solo attraverso un impegno concertato sarà possibile garantire trattamenti più sicuri ed efficaci per tutti.
Farmacologia di genere: verso una medicina più sicura e mirata Le differenze tra uomini e donne nella farmacocinetica (assorbimento, distribuzione, metabolismo, eliminazione) e nella farmacodinamica (effetti del farmaco sull'organismo) sono significative. Variabili come massa corporea, composizione corporea, funzione renale, livelli ormonali e attività enzimatica epatica (CYP450) condizionano profondamente la risposta ai farmaci.
Le donne, a parità di dose somministrata, tendono a sviluppare una maggiore concentrazione plasmatica di ansiolitici, antidepressivi , oppioidi e beta-bloccanti , con un rischio aumentato di effetti collaterali. Alcuni antiaritmici, come il sotalolo, sono più frequentemente associati a eventi avversi nelle donne (es. torsioni di punta). Inoltre, i dosaggi standard sono spesso tarati su soggetti maschili, nonostante le donne metabolizzino più lentamente molecole comuni come la morfina o il diazepam .
Secondo una review pubblicata su Biomedicines (2024), l'adozione sistematica della farmacologia di genere può migliorare significativamente la sicurezza terapeutica, specialmente in popolazioni vulnerabili (donne anziane, in gravidanza, con comorbilità). Si auspica dunque un cambiamento delle linee guida, l'inclusione equilibrata nei trial e una farmacovigilanza disaggregata per sesso.
Malattie cardiovascolari: un modello emblematico di differenze di genere A lungo considerate "malattie maschili", le patologie cardiovascolari rappresentano oggi una delle principali cause di morte nelle donne, soprattutto oltre i 65 anni. Tuttavia, la sintomatologia nelle donne è spesso atipica e quindi meno riconosciuta: sintomi come nausea, dolore epigastrico, stanchezza e dispnea si discostano dal classico dolore toracico oppressivo. Questo porta a ritardi diagnostici e a una minore attivazione di percorsi terapeutici tempestivi, come l'angioplastica o la trombolisi.
La review pubblicata su Nature Reviews Cardiology (2022) conferma che, nonostante le crescenti evidenze scientifiche, le donne sono ancora sottorappresentate nei trial clinici (<30%), con conseguente difficoltà nel validare l'efficacia di terapie su popolazioni femminili.
Inoltre, studi recenti suggeriscono che anche i meccanismi fisiopatologici delle malattie cardiovascolari nelle donne possano differire: prevalgono infatti quadri di ischemia non ostruttiva, disfunzione microvascolare e variazioni nella risposta infiammatoria e trombotica. Tutti elementi che richiedono strategie diagnostiche e terapeutiche diversificate rispetto ai protocolli standardizzati elaborati su popolazioni prevalentemente maschili.
Alla luce di queste evidenze, risulta indispensabile promuovere una medicina personalizzata di genere, che consideri non solo la rappresentanza paritaria nei trial, ma anche la necessità di protocolli specifici per la diagnosi precoce e la gestione terapeutica delle donne affette da patologie cardiovascolari.
Disuguaglianze di accesso: il ruolo delle identità di genere L'accesso alle cure continua a essere fortemente influenzato dal genere e dall'identità di genere , generando disuguaglianze sostanziali nei diversi contesti socioeconomici e culturali. Nei Paesi a basso e medio reddito, le donne incontrano ostacoli strutturali all'accesso a servizi essenziali come vaccinazioni, contraccezione sicura, screening oncologici e trattamenti specialistici, spesso per ragioni economiche, culturali o legate a discriminazioni sistemiche. La povertà di risorse, il limitato potere decisionale femminile e la subordinazione sociale amplificano tali barriere.
Nei Paesi ad alto reddito, sebbene il livello generale di accesso sia più elevato, emergono altre forme di esclusione e vulnerabilità. Le persone transgender, non binarie e intersex affrontano discriminazioni burocratiche (assenza di riconoscimento identitario nei sistemi informativi sanitari), culturali (pregiudizi del personale sanitario) e cliniche (mancanza di linee guida specifiche e professionisti adeguatamente formati). Queste barriere generano ritardi diagnostici, mancate diagnosi, ridotto accesso a percorsi terapeutici idonei e, in ultima analisi, esiti clinici sfavorevoli.
Diverse ricerche internazionali mostrano come lo stigma e la discriminazione correlati al genere e all'identità di genere possano tradursi in un maggiore rischio di salute mentale, abuso di sostanze, violenza interpersonale e scarsa aderenza alle cure, determinando così diseguaglianze sanitarie cumulative e persistenti.
Per affrontare efficacemente queste disparità è indispensabile affinare la competenza culturale e comunicativa degli operatori sanitari, includendo formazione continua su diversità di genere, orientamento sessuale e identità di genere. L'adozione di percorsi assistenziali inclusivi, di modelli organizzativi gender-sensitive e la revisione dei sistemi informativi sanitari in ottica non binaria rappresentano passaggi imprescindibili per garantire a ogni persona un'assistenza sicura, rispettosa e realmente equa.
Le prospettive: un cambiamento sistemico e condiviso Il futuro della medicina di genere sta conoscendo un'accelerazione grazie all'interesse crescente non solo delle istituzioni ma anche dell'industria biomedica e farmaceutica. Diverse aziende farmaceutiche stanno riorientando i propri programmi di ricerca e sviluppo per rispondere alle evidenze della medicina di genere. Theramex, Bayer e Zambon hanno avviato investimenti significativi in farmaci mirati per la salute femminile, mentre il settore femtech sta sviluppando soluzioni digitali innovative per la gestione della salute mestruale, menopausale, della fertilità e delle patologie endocrine.
A livello internazionale, programmi europei come Horizon Europe e nuove direttive EMA prevedono criteri stringenti sull'inclusione paritaria nei trial clinici e sulla trasparenza dei dati disaggregati. La Food and Drug Administration (FDA) ha recentemente proposto linee guida per migliorare l'analisi di sesso e genere negli studi clinici, segnalando un cambio di passo a livello globale.
In parallelo, il progetto "Gendered Innovations" continua a offrire strumenti metodologici per integrare il genere fin dalle fasi precoci della ricerca, promuovendo innovazione responsabile e maggiore sicurezza terapeutica.
Nonostante questi progressi, la piena integrazione richiederà ancora anni: l'obiettivo realistico stimato da diversi osservatori scientifici internazionali è che entro il 2030-2035 la medicina di genere sia stabilmente integrata nei protocolli di ricerca, nelle linee guida cliniche e nella pratica sanitaria corrente. Per accelerare questo processo sarà cruciale mantenere alta l'attenzione istituzionale, rafforzare la formazione degli operatori e incentivare la collaborazione tra enti regolatori, industria e comunità scientifica.
Il percorso è tracciato, ma richiederà un cambiamento culturale profondo e sistemico per superare definitivamente decenni di medicina "neutra" e costruire un modello di cura veramente su misura per ogni individuo.
Assistenza di qualità e rispetto delle identità: il ruolo operativo degli infermieri Per garantire una reale equità nelle cure, è indispensabile adottare comportamenti assistenziali sensibili al genere e all’identità della persona. Gli infermieri, in prima linea nella relazione di cura, hanno un ruolo cruciale nel promuovere un’assistenza di qualità, sicura e inclusiva. Ciò significa:
Garantire la privacy della persona assistita, tutelando il segreto professionale. Assicurare la riservatezza, anche attraverso soluzioni logistiche come camere singole nei ricoveri. Riconoscere e superare i propri pregiudizi, andando oltre la dicotomia maschio/femmina e accogliendo le diverse identità di genere. Utilizzare un linguaggio neutro o personalizzato, chiedendo direttamente alla persona come desidera essere chiamata e annotando eventuali preferenze non coerenti con i documenti ufficiali. Creare un clima accogliente, rispettoso, di accettazione e inclusione. Evitare domande non necessarie o potenzialmente intrusive. Spiegare sempre le azioni assistenziali, soprattutto nei momenti delicati (es. svestizione), per non generare disagio. Verso una sanità più inclusiva Oltre agli interventi diretti, è possibile migliorare ulteriormente l’assistenza attraverso azioni di sistema:
Rendere più inclusivi moduli, documenti e materiali informativi, prevedendo ad esempio opzioni di genere oltre “M” e “F”. Investire nella formazione, per sensibilizzare i professionisti sul linguaggio corretto, sull’identità transgender e sull’impatto clinico delle terapie ormonali, spesso trascurate nell’interpretazione di esami e parametri biochimici. “L’infermiere si prende cura della persona, delle sue persone di riferimento, della famiglia e della comunità. Agisce nel rispetto della loro dignità, libertà ed eguaglianza, delle loro scelte di vita e concezioni di salute e benessere, senza alcuna distinzione di età, etnia, religione, condizione sociale, identità di genere, orientamento sessuale e culturale. In coerenza con i valori etici e le norme deontologiche delle professioni infermieristiche, garantisce una relazione basata sulla fiducia reciproca. Promuove la cultura del rispetto e dell’inclusione contribuendo a ridurre le disuguaglianze in ambito socio-sanitario. Si astiene da ogni forma di discriminazione e colpevolizzazione nei confronti di tutti coloro che incontra nel suo agire."
(Articolo 3 – Rispetto e non discriminazione, Codice Deontologico FNOPI , 2025)
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