Oss a rischio burnout
Sono diverse le attività lavorative a rischio burnout, ma il lavoro dell’operatore socio sanitario è tra quelli più a repentaglio. Spesso ci si trova a dover fare i conti con la carenza di personale, i molti pazienti da gestire, la mancanza di tempo.
Avete mai passato il Natale in una struttura, guardando negli occhi e ascoltando il triste silenzio di chi soffre?
O vi siete mai trovati ad ascoltare lo sfogo di una persona alla quale è stata sentenziata una diagnosi infausta? O peggio ancora avete mai dovuto gestire il decesso di un paziente? Dinamiche uniche in ogni loro manifestazione e nuove ogni volta per l’operatore socio sanitario.
L’Oss oggi è la figura spesso più vicina alla persona assistita e per questo deve sapersi guadagnare la fiducia e del paziente e dell’équipe con cui lavora. L’Oss si pone in una situazione di ascolto incondizionato, oltre a rispondere ai bisogni base della persona assistita al fine di aiutarlo nelle sue Adl, Activities of daily living. Dopo un paio di anni, il mal di schiena è assicurato. Senza considerare la fatica psicologica, con l’unico riconoscimento di essere taggato come “personale di supporto”. Con a monte, questo non lo dimentichiamo, il poco chiaro confine di responsabilità tra lui e gli altri professionisti.
Per questo c’è bisogno di formazione equa a livello nazionale e formazione specifica in base all’ambito nel quale l’operatore socio sanitario andrà a lavorare. E forse più che un lavoro gravoso dovrebbe essere considerato un vero e proprio lavoro usurante.
Luca Gusperti, operatore socio sanitario