Dimissioni ravvicinate e reparti in sofferenza
Ospedale Maggiore di Novara
Dall’inizio di dicembre, sette infermieri hanno rassegnato le dimissioni dall’ospedale Maggiore. Un numero che, se letto nel breve arco temporale in cui si è concentrato, assume un peso rilevante per un’organizzazione già segnata dalla carenza di personale.
Secondo quanto denunciato dalle rappresentanze sindacali, le uscite riguardano soprattutto infermieri giovani, spesso con diversi anni di esperienza alle spalle. Professionisti che dovrebbero rappresentare l’asse portante del ricambio generazionale, ma che scelgono invece di cercare condizioni migliori altrove.
La situazione appare particolarmente critica nell’area dell’emergenza. Al pronto soccorso mancano stabilmente sette infermieri dall’estate, una carenza che si traduce in turni più pesanti, maggiore esposizione al rischio e un incremento del carico assistenziale sui professionisti rimasti in servizio.
In questo contesto, le unità operative ospedaliere vengono descritte come ambienti sempre più logoranti, dove la pressione assistenziale si somma alla difficoltà di garantire un equilibrio tra vita professionale e personale.
Progressioni ferme e straordinari accumulati
Tra i fattori che alimentano il malessere emerge anche la mancata valorizzazione economica. All’interno dell’azienda risultano 321 infermieri e ostetriche in fascia D0, ovvero professionisti che, pur lavorando da anni, non hanno mai beneficiato di una progressione economica.
A questo si aggiunge il tema degli straordinari accumulati, spesso migliaia di ore non retribuite né recuperate. Una condizione che, nel tempo, contribuisce a rendere insostenibile la permanenza in servizio e alimenta la decisione di dimettersi.
Le destinazioni scelte da chi lascia l’ospedale Maggiore non sono casuali. Da un lato il settore privato, percepito come più attrattivo sul piano retributivo; dall’altro altre aziende pubbliche, come la stessa Asl di Novara, che offrono maggiori possibilità di lavoro territoriale, nelle cure primarie e nell’assistenza di prossimità.
Il confronto con il lavoro ospedaliero è netto: meno turni massacranti, maggiore autonomia e prospettive professionali più chiare.
La vicenda dell’ospedale Maggiore non è un caso isolato. Retribuzioni basse rispetto ad altri settori, aumento delle aggressioni, carriere specialistiche di fatto inesistenti e scarsa valorizzazione delle competenze sono elementi ricorrenti in molte realtà ospedaliere italiane.
Quando questi fattori si sommano, il risultato è una progressiva perdita di attrattività del lavoro infermieristico in ospedale. E le dimissioni, più che un gesto individuale, diventano la risposta a un sistema che fatica a trattenere i propri professionisti.