Puntura e gestione della FAV, l'esperienza del Centro Dialisi di Arezzo
Al centro Dialisi di Arezzo (U.O. Nefrologia ed Emodialisi–P.O. di Arezzo–ASL Sudest Toscana) afferiscono circa 110 pazienti cronici, di cui circa il 65% è portatore di FAV/protesi vascolare. Un centro abbastanza grande e in previsione di crescita, a cui fanno riferimento anche 3 CAL (Centri dialisi ad Assistenza Limitata).
Il paziente sa bene quanto il suo accesso vascolare sia prezioso e l’infermiere deve educarlo e istruirlo all’inizio del suo percorso sulla cura dello stesso. Ma l’infermiere deve a sua volta percepire questo valore, dato che si trova a gestirlo, cioè a pungerlo ad ogni seduta. È straordinario come la vena di partenza diventi, dopo la maturazione, in grado di sostenere 6 punture alla settimana per 52 settimane all’anno, spesso per molti anni. Parliamo di 312 punture all’anno, a meno di errori umanamente possibili, per ogni paziente sottoposto a emodialisi trisettimanale. Nessun vaso naturale resisterebbe a tanto.
Quindi approcciarsi alla FAV deve ogni volta farci ricordare che siamo di fronte ad un piccolo “organo” che merita tutte le nostre premure. L’infermiere di emodialisi ha il compito di curarlo al meglio, il che significa conoscerlo, valutarlo, pungerlo nel migliore dei modi possibili, che non sempre significa il modo più facile.
Questo perché il modo in cui pungiamo la FAV allungherà o accorcerà la sua durata (potenzialmente) e porterà più o meno facilmente all’insorgenza di complicanze. In emodialisi come in altre realtà dell’assistenza infermieristica, le mani dell’infermiere fanno una enorme differenza nella qualità di vita del paziente.
In letteratura e nella pratica clinica, esistono tre modalità di puntura, di cui una universalmente sconsigliata (quella “ad area”), due possibili (“a scala di corda” e “Button-hole” cioè ad occhiello) di cui una universalmente accettata (“a scala di corda”).
La tecnica a “scala di corda”, cioè quella che crea idealmente un “percorso” lungo tutto il vaso “salendo” lungo di esso ad ogni puntura, deve essere la scelta da preferire. A volte questa è ostacolata per difficoltà dell’operatore, altre volte per mancata accettazione del paziente che teme di sentire più dolore o di rischiare delle punture aggiuntive.
La puntura “ad area” (cioè senza spostarsi dalle due zone individuate nel tempo) invece è quella che di solito il paziente accetta come quella meno dolorosa e più “sicura”, ma in realtà crea un danno, perché finisce col deteriorare l’accesso vascolare e i tessuti sovrastanti.
L’ultima alternativa, della quale stiamo attualmente valutando i vantaggi per selezionati pazienti, è la tecnica “Button-hole”. In questa tecnica, il sito di puntura è sempre lo stesso, dopo la creazione di un tunnel sottocutaneo naturale che si origina dalle prime punture. L’infermiere, opportunamente formato, crea il tunnel con aghi fistola taglienti standard, per poi usare in un secondo tempo e per tutto il futuro dell’accesso vascolare degli speciali aghi non taglienti.
Questa tecnica presenta dei vantaggi (assenza di aneurismi e quasi del tutto di dolore alla puntura, fattore estetico), ma necessita di una formazione dell’operatore e del paziente e la collaborazione di quest’ultimo in modo più determinante.
Linee guida sulle modalità di puntura della FAV
Sulla modalità di puntura, le due Linee Guida principali in campo nefrologico-dialitico differiscono leggermente: mentre la Renal Best Practice (2019) allarga la scelta anche alla tecnica del Button-Hole come alternativa alla scala di corda, la KDoqi suggerisce di utilizzare universalmente la tecnica della scala di corda e di riservare il Button-Hole ad un numero ristretto di pazienti date le difficoltà tecniche e l’aumentato rischio di infezione.
Nel centro Dialisi di Arezzo da alcuni anni si dedica formazione specifica e approfondita sulla scelta dei siti di puntura, anche grazie all’introduzione dell’ecografia come strumento di supporto alla valutazione.
Si cerca di limitare al massimo la puntura ad area e introdurre elementi suggeriti dalle evidenze, come il posizionamento dell’ago di aspirazione verso corrente (e non contro-corrente) nella quasi totalità degli accessi (fonte: “Cannulation technique influences fistula and graft survival”, M.T. Parisotto et al., Aprile 2014, Kidney International). Importanti dettagli come questo stanno cambiando la percezione – quella dei professionisti e quella dei pazienti - sul miglioramento della qualità dell’assistenza.
La Linea-Guida KDoqi 2019 (Kidney Disease Outcomes Quality Initiative) e la Linea-Guida “Renal Best Practice” 2019 concordano sul fatto che il monitoraggio delle FAV sia da raccomandare e da effettuare con i metodi conosciuti, anche strumentali (ecografia, doppler) per evidenziare precocemente segni di stenosi sui quali eventualmente intervenire con esami più approfonditi. Non c’è accordo unanime sulla stessa raccomandazione per le protesi vascolari.
In entrambe le Linee Guida si evidenzia comunque la necessità di monitorare la FAV utilizzando tutti i mezzi a nostra disposizione. Il modo più semplice e imprescindibile, che ogni infermiere di emodialisi fa istintivamente anche se non lo formalizza, è l’osservazione esterna: “guardo” memorizzando l’immagine della FAV di volta in volta.
La conoscenza quotidiana dei pazienti in dialisi fa sì che l’infermiere impari a conoscere e riconoscere gli accessi ed accorgersi subito se ci sono variazioni di colore della cute, forma degli aneurismi se presenti, zone delle ultime punture, ecc. Segue la palpazione, “tocco” apprezzando il thrill e le sue caratteristiche di continuità (normale) o discontinuità (che può essere patologica), la tensione della cute, consistenza. Infine, l’auscultazione, “sento” con il fonendoscopio.
Negli ultimi anni la tecnologia ci ha fornito anche il fonendoscopio elettronico, che oltre alla funzione di ascolto permette anche di registrare, e quindi rendere condivisibile la traccia sonora. Un dato quindi fino ad ora legato alla sensibilità e all’esperienza dell’operatore diventa registrabile e fruibile da altri operatori, magari con più esperienza e che possano fornire consulenza. La registrazione ci fornisce una “storia” dell’accesso, il suo suono che cambia nel tempo e può avvertirci se qualcosa non va.
Altro prezioso strumento è l’ecografo, inserito ormai in molte pratiche dell’assistenza infermieristica e che trova un’applicazione insostituibile negli accessi vascolari (Raccomandazione 13.1 Linea Guida KDOQI). Nel nostro centro dialisi abbiamo introdotto l’ecografo qualche anno fa e iniziato ad usarlo per la valutazione delle nuove FAV, delle FAV “difficili” e di quelle con complicanze come stravasi ed ematomi. Possedere in reparto lo strumento è un enorme vantaggio, non comune nei centri dialisi italiani. Come ogni novità, all’inizio l’operatore si trova a dover gestire una nuova presenza nell’ambiente lavorativo, ma ben presto l’eco è diventato un “terzo occhio”, un compagno di viaggio.
Usare l’ecografo significa guardare tutte le strutture della fistola, cercare nuove zone di puntura e seguire l’ago nel suo ingresso nel vaso, riposizionarlo in sicurezza quando non è ben centrato o scoprire cosa impedisce l’afflusso di sangue. Si possono eseguire punture eco-assistite, cioè con visione del vaso con l’eco e poi puntura tradizionale senza il supporto, o eco-guidate, cioè lasciandosi guidare unicamente dallo schermo.
L’uso dell’ecografo è diventata una competenza specialistica e avanzata applicata alla pratica clinica e come tale speriamo ci venga presto riconosciuta. In effetti, esistono percorsi strutturati di formazione sugli accessi vascolari e del loro impianto eco-guidato, quasi sempre focalizzati sull’impianto dei devices venosi (PICC, Port, etc…); non c’è ancora formazione applicata all’emodialisi. Speriamo invece che possa presto essere formalizzata in corsi di perfezionamento riconosciuti e per adesso cerchiamo di far tesoro del nostro sapere e di “misurare” quello che facciamo ogni giorno, quando e come usiamo l’ecografo, quali risultati otteniamo o quali problemi riscontriamo.
Progetto di monitoraggio continuo di FAV e protesi vascolari
L’evoluzione della nostra competenza, iniziata con corsi di aggiornamento ad hoc ed esercitazione continua nella pratica quotidiana per un gruppo di infermieri del team, si configura adesso in un progetto di monitoraggio continuo delle FAV e protesi vascolari, così come suggerito dalle linee guida, in particolare la Linea Guida KDoqi-2019 (Raccomandazione 12.2).
Si tratta di un progetto infermieristico aziendale che prenderà in esame tutti i pazienti portatori di FAV/protesi vascolare con una cadenza predefinita e sarà formalizzato in una scheda con misurazioni, commenti e immagini sia ecografiche che dell’arto con gli aghi fistola posizionati, per suggerire con il raffronto ecografico eventuali traiettorie di puntura alternative a quelle già esplorate dagli operatori.
Il monitoraggio prevede la descrizione della FAV in B-mode in scansione trasversale e longitudinale: anatomia, struttura e misurazioni dei calibri del suo decorso, vene collaterali, segni di stenosi, presenza di strutture lungo il percorso. Una delle funzioni più importanti sarà quella di misurare il flusso della FAV, che viene calcolato sul flusso effettivo dell’arteria brachiale al gomito. L’ecografo ci fornisce una grande quantità di dati che si aggiungono all’esperienza dell’infermiere e alle sue personali valutazioni sull’accesso vascolare, aprendo il campo a molte ulteriori opzioni di ricerca.
Le Linee Guida KDoqi 2019 definiscono un altro aspetto che chiama in causa tutta l’équipe che segue idealmente il paziente in trattamento sostitutivo della funzione renale: l’“ESKD Life-Plan and Vascular Access Choice”: un piano strategico sulle scelte sugli accessi vascolari possibili nel corso della vita che, come sappiamo, non sono infinite. Il paziente deve conoscere ed essere coinvolto in queste scelte, nell’optare per l’impianto di un CVC piuttosto che nella creazione di una FAV e sapere anche quali opzioni si possono tenere aperte o meno in base alla scelta.
Il Life-Plan assume tanto maggior valore tanto più il paziente è giovane e dovrebbe iniziare in una fase molto precoce della malattia renale. Il team che ruota intorno all’accesso vascolare ovviamente è composto dal Nefrologo, dall’infermiere di emodialisi, dal chirurgo vascolare, etc. e può avvalersi di molte valutazioni strumentali, prima fra tutte l’ecografia. Il ruolo dell’infermiere è di coinvolgere il paziente nella scelta dell’accesso, idealmente nella fase pre-dialitica della malattia e poi valutare la FAV (anche per via ecografica) una volta creata e durante il periodo di maturazione prima del suo uso.
L’infermiere di emodialisi non deve dare mai per scontate le proprie competenze e deve sentire la necessità di continuo re-training sulle punture e sulla gestione degli accessi vascolari, perché sono il suo più importante campo d’azione del settore. Il nostro quotidiano non deve lasciarci supporre che facciamo sempre le cose al meglio e che diamo ai nostri pazienti la migliore delle assistenze possibili.
- Articolo a cura di Silvia Corti - infermiera di Emodialisi, azienda ASL Sudest Toscana, Brand Ambassador per l’Italia per EDTNA/ERCA European Dialysis and Transplant Nurses Association/European Renal Care Association