Stimolare la riflessione sulla necessità di uniformare i percorsi formativi, riconoscere le competenze avanzate e specialistiche nell'area nefrologica e il ruolo centrale del Tutor. Questi gli obiettivi di un'indagine condotta per indagare se in Italia vi sia un percorso formativo riconosciuto uniformemente sul territorio nazionale e quali requisiti l'infermiere possiede per operare all'interno della complessa area nefrologica.
Percorso formativo dell'infermiere, una panoramica
Il sistema Sanitario subisce da diversi anni una difficilissima fase di cambiamento, una crisi innescata dalle politiche finanziarie che coinvolge anche le organizzazioni costringendole a ripensare e adottare modelli organizzativi che mantengano l'equilibrio tra la qualità delle cure, la centralità della persona assistita e la spesa sanitaria.
Molti modelli organizzativi adottati da alcune regioni hanno aggiunto alla crisi anche un ripensamento del ruolo delle specialistiche, che non godono più del proprio spazio dentro la classica Unità Operativa, ma si muovono all'interno di uno spazio estremamente dinamico e che le pongono in strettissima relazione tra di loro dentro strutture "aggregate" nelle quali si teme la minaccia di un possibile smarrimento.
Uno di questi è il modello per Intensità di Cura, in cui il criterio di gestione del problema di salute è definito in base all'intensità e ai bisogni di assistenza più che dalla singola patologia.
La nefrologia è una delle specialistiche che sente maggiormente questa crisi e che deve ripensare al proprio interno un nuovo approccio collaborativo con le altre discipline, ma soprattutto con i professionisti infermieri impegnati nel nursing nefrologico.
Questa "metamorfosi" coinvolge fortemente anche la professione infermieristica, ma per quest'ultima, grazie alla sua profonda evoluzione, rappresenta una grandiosa opportunità. Non coglierla vorrebbe dire rinunciare ad un passo decisivo irripetibile.
Un fenomeno piuttosto recente, oggetto di pesanti controversie, è il cosiddetto "Task Shifting", ovvero il trasferimento di specifiche attività da un professionista ad un altro (dal medico all'infermiere o dall'infermiere all'Oss, ecc.) e che potrebbe delineare uno spazio più ampio di esercizio dell'autonomia e della responsabilità dell'infermiere.
In un interessante articolo il Prof. Carlo De Pietro, economista, afferma: La professionalizzazione degli infermieri rappresenta un cambiamento strutturale del sistema sanitario Italiano, che avrà necessariamente conseguenze importanti per la divisione del lavoro e l'organizzazione dei servizi.
Inoltre nel percorso post-base si sono delineate due macro aree o indirizzi: l'area del Management e l'area Clinica, dalla quale si entra in un territorio molto meno chiaro e ancora da definire in quanto al notevole sviluppo dell'area del management anche supportato dalla normativa (Legge 43/2006 in cui viene definito requisito per l'esercizio delle funzioni di coordinamento il possesso dell’apposito master universitario di I° livello e che gli incarichi dirigenziali vengano ricoperti da infermieri in possesso della Laurea Magistrale), fa da contraltare un ben più confuso percorso per quanto concerne la definizione delle competenze avanzate e della specialistica clinica caratterizzata da un complesso sistema di formazione post-base, che varia dai master universitari ai corsi di perfezionamento regionali, percorsi formativi interni alle aziende, ecc.
Altro nodo cruciale da sciogliere è il ruolo del Tutor clinico più o meno riconosciuto a cui dovrebbe essere affidata la formazione degli studenti, degli infermieri neoassunti o di nuova acquisizione stimolandone il potenziale attraverso la combinazione competenze tecniche, didattiche e relazionali.
Attualmente è tutt'altro che chiaro a quale possibile profilo il Tutor debba appartenere (specialista o esperto?) e quale percorso formativo sia necessario per il suo riconoscimento formale.
Articolo redatto con la collaborazione della collega Irene Bandor, che ringrazio.